Appello, ora la moratoria per l’aborto

Appello, ora la moratoria per l’aborto
moratoria per l’aborto

C’è anche una pena di morte, legale, che riguarda centinaia di milioni di esseri umani. Le buone coscienze che si rallegrano per il voto dell’Onu ora riflettano sulla strage eugenica, razzista e sessista degli innocenti [editoriale di Giuliano Ferrara tratto da Il Foglio del 19 dicembre 2007 – www.ilfoglio.it]

Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all’Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti. Infatti per ogni pena di morte comminata a un essere umano vivente ci sono mille, diecimila, centomila, milioni di aborti comminati a esseri umani viventi, concepiti nell’amore o nel piacere e poi destinati, in nome di una schizofrenica e grottesca ideologia della salute della Donna, che con la donna in carne e ossa e con la sua speranza di salute e di salvezza non ha niente a che vedere, alla mannaia dell’asportazione chirurgica o a quella del veleno farmacologico via pillola Ru486.

Questi esseri umani ai quali procuriamo la morte legale hanno ciascuno la propria struttura cromosomica, unica e irripetibile. Spesso, e in questo caso non li chiamiamo “concepiti” ma “feti”, hanno anche le fattezze e il volto, che sia o no a somiglianza di Dio lo lasciamo decidere alla coscienza individuale, di una persona. Qualche volta, è accaduto di recente a Firenze, queste persone vengono abortite vive, non ce la fanno nonostante ogni loro sforzo, soccombono dopo un regolare battesimo e vengono seppellite nel silenzio.

La pena di morte per la cui virtuale moratoria ci si rallegra oggi è di due tipi: conseguente a un giusto processo o a sentenze di giustizia tribale, compresa la sharia. Sono due cose diverse, ovviamente. Ma la nostra buona coscienza ci induce a complimentarci con noi stessi perché non facciamo differenze, e condanniamo in linea di principio la soppressione legale di un essere umano senza guardare ai suoi motivi, che in qualche caso, in molti casi, sono l’aver inflitto la morte ad altri.

Bene, anzi male. Il miliardo e più di aborti praticati da quando le legislazioni permettono la famosa interruzione volontaria della gravidanza riguarda persone legalmente innocenti, create e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio di aver figli e di amare e desiderio di non averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi dell’amore. E’ lo scandalo supremo del nostro tempo, è una ferita catastrofica che lacera nel profondo le fibre e il possibile incanto della società moderna. E’ oltre tutto, in molte parti del mondo in cui l’aborto è selettivo per sesso, e diventa selettivo per profilo genetico, un capolavoro ideologico di razzismo in marcia con la forza dell’eugenetica.

Rallegriamoci dunque, in alto i cuori, e dopo aver promosso la Piccola Moratoria promuoviamo la Grande Moratoria della strage degli innocenti. Si accettano irrisioni, perché le buone coscienze sanno usare l’arma del sarcasmo meglio delle cattive, ma anche adesioni a un appello che parla da solo, illuministicamente, con l’evidenza assoluta e veritativa dei fatti di esperienza e di ragione.

Le cellule staminali e i diritti dell’embrione

Le cellule staminali e i diritti dell’embrione
Stem cells

Sintesi dell’incontro di formazione del 9 novembre 2007 – Milano c/o Scuola Faes Monforte

Dott. Andrea Verga, medico e vice presidente del Movimento per la Vita Ambrosiano

Il relatore ha messo in evidenza che il riconoscimento all’embrione dello status di essere umano -e pertanto la tutela del suo inalienabile diritto alla vita – non hanno natura confessionale od ideologica, ma si fondano su un principio di razionalità che può essere comunemente condiviso sia dal credente che dal non credente, sia dalla religione che dalla scienza, in un terreno comune di incontro: la ragione.

Entrando nel merito del tema dell’incontro si è analizzata brevemente la differenza tra cellule staminali embrionali e cellule staminali adulte. Le cellule staminali embrionali, non ancora differenziate, sono in una fase di totipotenza in quanto hanno la capacità di diventare tutti (o quasi) i tessuti. Il loro utilizzo richiede però la inevitabile soppressione di embrioni (che, trattandosi di esseri umani sia pure in una fase iniziale del loro sviluppo biologico, pone evidenti problemi di liceità: morale, prima ancora che giuridica). Il problema è infatti prevalentemente morale, in quanto attiene alla coscienza morale personale del ricercatore, dal momento che, come è noto, è molto improbabile che il diritto, inteso come esercizio del potere giudiziario, riesca a regolare e anche a sanzionare l’operato quotidiano di quanto avviene in laboratorio, come purtroppo sembrano evidenziare anche le recenti sentenze di alcuni magistrati in merito all’applicazione della Legge 40.

Le cellule staminali adulte, viceversa, essendo già differenziate provvedono al mantenimento degli organi del tessuto a cui appartengono ed in cui si sono sviluppate; sono dunque un serbatoio diretto alla eventuale riparazione di quell’organo cui appartengono.

Grazie a questa caratteristica le cellule staminali sono particolarmente ambite per uso terapeutico contro molte patologie umane. I successi maggiori si hanno con le cellule staminali adulte, poiché si ha una grande difficoltà ad orientare la riproduzione delle cellule staminali embrionali nella direzione del tessuto richiesto. Per capire il motivo della diffusa ricerca sulle cellule staminali embrionali (non giustificato dai risultati ottenuti) occorre tener presente, anche gli interessi economici connessi con i possibili brevetti di eventuali scoperte.

Tale atteggiamento, che mira a valorizzare le nuove tecniche solo in quanto rendono possibili interventi impensabili poche decine di anni fa, senza entrare nel merito del valore etico delle operazioni di volta in volta eseguite, va di pari passo con la trasformazione della scienza e delle tecnologie biomediche cui si assiste oggi. Man mano che la tecnica apre nuove frontiere, l’interesse economico dei grandi gruppi di ricerca (scienziati, imprese, consorzi di ricerca internazionali, ecc.) e delle società la segue senza domandarsi la destinazione di arrivo. E’ ciò che sta avvenendo in Inghilterra dove si è dato il via libera alla produzione di chimere, miscugli tra animali ed essere umano.

Quando si parla di ricerca, anche quando si afferma l’obiettivo di scoprire cure in grado di debellare gravi malattie che affliggono l’uomo, spesso si dimentica che, nelle attuali biotecnologie, differentemente da come avveniva fino a qualche decennio fa (si pensi ad esempio al modello di scienziato diviso fra clinica e laboratorio), non vi è differenza fra l’esperimento (il modello sperimentale più o meno lontano dalla clinica, ad es. la coltura cellulare, le proteine, ecc.) e la realtà (il paziente in carne ed ossa): oggi ciò su cui si interviene non è una finzione, ma un essere umano vero e proprio, solo situato cronologicamente nella sua fase di sviluppo embrionale.

La tematica delle cellule staminali e della tutela dell’embrione ha avuto ampia diffusione a seguito dell’emanazione della legge 40/2004 sulla fecondazione artificiale, oggetto poi del referendum che diede vita al Comitato Scienza e Vita. Questa legge riconosce al concepito, per la prima volta in maniera esplicita, la natura di soggetto di diritto.

Il dibattito sul riconoscimento o la negazione dei diritti dell’embrione si incentra su un falso presupposto culturale, che si fonda su una visione relativista della dignità dell’uomo, diffusa nella società civile anche nei confronti delle grandi religioni monoteistiche, visione in base alla quale ciò che è etico e religioso è percepito come restrittivo della libertà ed ostile, in qualche caso anche violento (si pensi all’associazione fra terrorismo e religione o alle note polemiche relative alla intolleranza della libertà di pensiero e alla violazione della libertà di ricerca nei paesi cattolici del sud Europa: caso Galileo, Giordano Bruno, ecc.).

Al fine di affrontare un sereno dibattito si deve superare questa falsa contrapposizione tra l’etica laicista – in base alla quale chi decide cosa è giusto sarebbe l’uomo e la sua capacità tecnica di realizzare l’irrealizzabile – e una etica religiosa falsa – in base alla quale chi decide sarebbe Dio: contrapposizione tra la ricerca scientifica libera, dominata solo dalla razionalità/possibilità tecnica e una visione falsa, confessionale ed ideologica dominata dall’irrazionale paura di qualsiasi nuova tecnica scientifica.

Il riconoscimento dell’embrione quale essere umano e la necessità di garantire al medesimo i diritti propri di ogni essere umano, primo fra tutti il diritto inalienabile alla vita, possono essere validamente sostenuti ed argomentati anche con il solo uso della ragione, sia nel campo laico e scientifico sia in quello religioso.

È evidente che la negazione del valore dell’uomo in una sperimentazione senza limiti è essa stessa espressione di un principio di irrazionalità. Il deficit di razionalità è ben visibile sia nell’uso delle cellule staminali embrionali per finalità di ricerca, sia nelle tecniche di fecondazione assistita, ma anche nella promozione di teorie sociologiche e giuridiche favorevoli alle unioni omosessuali: infatti essi hanno un unico comune obiettivo, la gestione da parte delle generazioni future della fertilità umana in maniera asessuata, al di fuori di legami relazionali stabili e giuridicamente fondati, attraverso una negazione della naturale differenziazione dei sessi su cui si fonda la naturale trasmissione della vita. In questa prospettiva alla sessualità resterebbe unicamente un valore di piacevolezza e di comunicazione interpersonale, completamente svincolato dalla fertilità.

Pertanto il pensiero laico tradizionale, inteso in modo sintetico come una filosofia antropologica non supportata da una visione religiosa dell’esistenza umana, e la ricerca scientifica, che di per se stessa deve essere libera ma non irrazionale, non devono abdicare a qualsiasi valore, ma, al contrario, possono e devono riconoscere all’embrione umano la dignità di persona, perché questa è l’unica strada sulla quale la ragione può identificare un obiettivo comune con i credenti, fondandolo nel rispetto della vita e dell’indisponibilità di ogni essere umano.