Dare un’alternativa all’aborto: l’esperienza dei CAV

Dare un’alternativa all’aborto: l’esperienza dei CAV
Dare un’alternativa all’aborto: l’esperienza dei CAV

Sintesi dell’incontro di formazione del 13 dicembre 2007 – Milano c/o Scuola Faes Monforte [scarica la relazione in formato .doc] – Vi indichiamo inoltre tre progetti del Movimento per la Vita a favore di chi desidera avere o contribuire a dare un’alternativa all’aborto: SOS Vita, Progetto Gemma e La culla per la vita

Sig.ra Enza Costa, volontaria del Centro di Aiuto alla Vita Ambrosiano

Oggi quali sono i fattori che inducono una donna a scegliere l’aborto?
Innanzitutto, la legge vigente che influenza costume ed etica delle persone con contenuti troppo permissivi: essa, infatti, generalizza il ricorso all’aborto come forma di servizio sociale, consente alla donna (anche se minorenne e senza il consenso dei genitori) di richiedere da sola tale pratica entro 90 giorni dal concepimento e comunque anche dopo il terzo mese se il proseguimento della gravidanza è ritenuto pericoloso per la sua vita e se le malformazioni del nascituro potrebbero causarle un danno psico-fisico e, ancora, permette alla donna di abortire più volte e sempre gratuitamente.

Un secondo fattore è costituito dalla possibilità di abortire senza ospedalizzazione attraverso l’assunzione di contraccettivi abortivi e controgestativi, oppure grazie alle moderne tecniche di fecondazione artificiale, ma anche per la facilità con la quale viene assunta la “pillola del giorno dopo”, anche da minorenni ed all’insaputa del genitori, nonché con l’utilizzo della Ru486 con la quale l’espulsione del feto avviene fuori dalle strutture ospedaliere.

Un altro fattore che si può dimostrare determinante nella scelta abortiva operata dalla donna è l’assenza di efficaci azioni di prevenzione o rimozione delle cause che determinano la scelta medesima: spesso si ignorano le direttive stesse della Legge 194 che prevedono la “rimozione delle cause” che ostacolano la gravidanza e si limitano gli interventi di prevenzione alla sola proposta contraccettiva, la quale viene addirittura illustrata come prima risoluzione del problema negli strumenti divulgativi scolastici, senza dimenticare che frequentemente la donna non viene neanche informata delle possibili alternative all’aborto che le vengono offerte dai canali del volontariato, che anzi viene normalmente ostacolato nelle sue attività.

Infine la risoluzione ad optare per una pratica abortista dipende anche dalla stretta correlazione che si è venuta a creare tra cultura e abortività, legame che si fonda sul mancato riconoscimento dell’identità umana, considerata tutt’al più un problema di opinione e neanche fondamentale e sulle diverse visioni antropologiche succedutesi negli anni in materia, le quali non riconoscono al concepito il diritto alla vita e la pari dignità con tutti gli esseri umani e offrono una visione riduttiva della persona e della sua sessualità. A ciò bisogna poi aggiungere che oggi gli strumenti comunicativi mediatici vengono spesso usati in modo scorretto, così da nascondere o addirittura alterare la verità.

Quali sono, però, le cause concrete che generalmente motivano una donna a richiedere di abortire?
Possono essere molteplici: gravidanze indesiderate giunte in famiglie già troppo numerose, la paura che il nascituro posso essere affetto da malformazioni più o meno gravi, il timore che la gravidanza possa far perdere l’impiego o bloccare la carriera, difficoltà economiche, gravidanze vissute in clandestinità o in solitudine nel caso di disarmonia di coppia, abbandono del partner, rapporti occasionali, nonché le forti pressioni che possono giungere dal partner, dai familiari, dai datori di lavoro o dagli sfruttatori.

Chi sono coloro che agevolano o stimolano la scelta abortiva?
Troviamo soggetti in questo senso responsabili in vari livelli dell’organizzazione sociale e istituzionale del nostro Paese: a cominciare da chi è parte della vita privata della donna, ossia il coniuge o il partner, i familiari, ma anche coloro che lavorano nel settore come gli operatori sanitari e sociali i quali possono esercitare molta influenza sulle scelte della neo mamma non solo istigando attivamente e convincendo a servirsi dell’aborto, ma anche rimanendo semplicemente assenti e non fornendo alcun sostegno e assistenza.

Ma possiamo considerare soggetto che agevola o stimola la pratica abortiva anche lo Stato che non attui un’efficace azione di prevenzione, attribuendo poca importanza all’aspetto morale che avvolge la questione e alle sofferenze che ne derivano, soffermandosi, piuttosto, sulla disamina dei costi/benefici, preferendo sostenere le spese sanitarie per l’interruzione volontaria della gravidanza che non quelle per aiutare chi ricorre all’aborto per motivi economici.

Infine si possono annoverare nell’elenco anche gli organismi internazionali e le associazioni eugenetiche e femministe che guardano all’aborto come il miglior modo per garantire un maggior controllo demografico e per assicurare scelte libertarie nell’uso della sessualità, riconoscendo il diritto della donna al controllo assoluto della gravidanza e della nascita, anche con l’ausilio della tecnica scientifica, secondo l’idea che l’aborto permetta una “miglior salute riproduttiva della donna”.

Come viene presa la decisione di abortire?
Una donna che debba affrontare questa decisione può agire in differenti modi: può decidere istintivamente, in modo rapido senza valutare altre possibilità e conseguenze, oppure in modo razionale, esaminando tutte le ragioni pratiche e i motivi che nel concreto possano far ritenere migliore una strada oppure un’altra, anche se in contrasto con bisogni affettivi ed emotivi. E’ anche possibile, però, che la donna temporeggi e decida di posticipare il momento della decisione, rinviandola a causa di forti sentimenti conflittuali oppure si rifiuti di prendere alcuna risoluzione e con atteggiamento di rassegnazione deleghi ad altri la questione. In ogni caso, la scelta che la donna si trova a dover affrontare è molto grave e non si può non tener conto delle pesanti conseguenze che si possono riscontrare in una donna che ha abortito.

Quali sono tali conseguenze?
Esistono molte ricerche e testimonianze che evidenziano disturbi fisici e psichici (le cd. sindromi post-abortive) sofferti a seguito di un aborto. Ancora oggi, però, nonostante il “consenso informato”, ne vengono indicate solo alcune e molte vengono ancora taciute; inoltre, non essendo la donna seguita anche nel tempo successivo all’aborto (salvo che essa stessa non sia consapevole del suo stato e richieda uno specifico aiuto), molte conseguenze non si evidenziano come correlate alla pratica abortiva, e nonostante, nel breve termine, la donna sperimenti una riduzione del livello di ansia, successivamente le si presentano disturbi post-traumatici da stress, sia fisici che psichici.

Le più frequenti e possibili conseguenze fisiche sono: tensione muscolare, vertigini, tachicardia, problemi gastrici, cefalea, convulsioni, squilibrio nel ciclo mestruale (causato soprattutto dalla pillola del giorno dopo), disturbi sessuali e calo del desiderio, maggior propensione a partorire prematuramente, alta probabilità di gravidanze ectopiche, molti effetti collaterali della RU486, compreso il pericolo di morte e possibile formazione di aderenze endo-uterine che possono causare sterilità.

Tra quelle psichiche, invece, si possono riscontrare: calo della propria autostima a causa della decisione presa, difficoltà nelle relazioni affettive ed interpersonali, disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti (contatto con bambini appena nati, visite ginecologiche, ecc.), sogni spiacevoli ricorrenti, ricordi intrusivi che si manifestano con immagini, pensieri o percezioni, sensazione di rivivere l’esperienza dell’aborto, problemi di salute mentale, violenze sui figli, depressione, stress emotivo simile a quello di un lutto (ma più complicato da elaborare per i sensi di colpa) e rischio di suicidio.

Perché è importante dare un’alternativa all’aborto?
Perché siamo di fronte ad un vero e proprio genocidio di chi è ancora nel grembo materno: secondo recenti stime, ogni anno nel mondo vengono effettuati circa 46 milioni di aborti, di cui molti selettivi per sesso; mentre in Italia negli ultimi 28 anni sono stati attuati 4.740.007 aborti legali, ai quali si devono aggiungere quelli clandestini e quelli conseguenti all’uso di pratiche contraccettive e di fecondazione artificiale.

Da chi e come viene proposta un’alternativa all’aborto?
Dalla Chiesa Cattolica, che ha assunto un impegno culturale, pastorale e caritativo costante a favore della vita, dal Movimento per la Vita, che promuove ed attua azioni in campo legislativo, culturale ed educativo, dalla stampa cattolica e da pochi media laici, da alcuni Stati che con leggi più restrittive hanno arginato il grave problema e da altri che, per contrastare il calo demografico e l’aborto selettivo, sono intervenuti limitando le possibilità stesse di aborto; infine, dall’aiuto concreto offerto dai 280 Centri di Aiuto alla Vita (CAV), che, con vari interventi, hanno salvato più di 85.000 bambini ed aiutato più di 1.000.000 di mamme in difficoltà; dalle adozioni a distanza (Progetto Gemma) che hanno permesso, in casi di forte rischio di aborto per gravi difficoltà economiche, di offrire per 18 mesi anche un aiuto in denaro, grazie ai numerosi adottanti 14.000 bimbi sono stati salvati e alle mamme sono stati evitati gravi traumi; dal numero verde telefonico attivo notte e giorno, SOS Vita, dove gli operatori ascoltano, confortano e consigliano chi ha abortito e indirizzano al Cav più vicino le donne che richiedono aiuto per una gravidanza imprevista; da altri enti o associazioni quali Telefono Rosso, Madre Segreta, Culle per la vita, Caritas, ecc.

Chi deve attivarsi per sostenere la vita e quali sono stati i risultati fino ad oggi ottenuti in suo favore?
Tutti siamo chiamati a fare ogni sforzo per aiutare ad accogliere la vita e dobbiamo impegnarci attivamente per proteggerla, tanto più che le cause più frequenti che impediscono di accogliere un nuovo essere umano possono essere facilmente rimosse: la testimonianza dei Centri di Aiuto alla Vita lo ha dimostrato e i risultati ottenuti ne sono la prova.

E’ diminuito il numero delle persone favorevoli all’aborto, è aumentato il numero delle persone e delle associazioni (sopratutto cattoliche) che ritengono la difesa della vita e della famiglia una fondamentale “questione sociale”, sono aumentate le “obiezioni di coscienza” da parte del personale sanitario (da ultimi, i farmacisti), sono stati posti limiti alla fecondazione artificiale, si sono verificati ripensamenti da parte di alcune femministe, in alcuni ospedali sono state stipulate convenzioni con i Centri di Aiuto alla Vita, è aumentato il numero degli operatori sanitari e sociali che, a fronte dell’ostracismo precedentemente in atto, indirizzano ai CAV donne dubbiose che desiderano un sostegno, le madri che sono state aiutate ad accogliere il figlio collaborano esse stesse con i CAV nel consigliare altre madri in difficoltà, infine, quale segno di mutamento culturale e di riconoscimento in favore della vita, in molte località è stata ottenuta la tumulazione in apposite aree dei bimbi abortiti.

Sig.ra Elena Santambrogio, operatrice del Centro di Aiuto alla Vita Ambrosiano

L’ attività dei Centri di Aiuto alla Vita (Cav) aveva ed ha lo scopo di sostenere moralmente e materialmente le donne e le famiglie che vivano delle difficoltà a causa di una gravidanza, proponendosi loro come valida alternativa all’aborto.

Il Cav Ambrosiano sostiene e opera a favore della vita da oltre 25 anni: inizialmente ogni sua attività era sostenuta grazie alla buona volontà di persone che, credendo fermamente nel valore della vita, si adoperavano affinché ogni donna che, trovandosi in difficoltà, doveva decidere se portare a termine la gravidanza, non fosse lasciata nella più completa solitudine.

Nel corso degli anni, però, a causa dei continui cambiamenti sociali e dell’evolversi della tipologia delle necessità comuni, l’attività del Cav si è evoluta: un idoneo servizio sociale, composto da assistenti sociali e consulenti familiari professionalmente preparati, progetti finalizzati al sostegno e all’accettazione della gravidanza e un aiuto concreto, ci consentono oggi di rispondere adeguatamente alle richieste di aiuto e di poter essere un punto di riferimento diretto sul territorio, soprattutto in questo periodo in cui vi è una notevole carenza di interventi da parte dei servizi pubblici, sempre più il Cav e le associazioni di volontariato vengono chiamate in causa per intervenire immediatamente nelle situazioni di bisogno.

Accogliere, sostenere, affiancare, condividere, aiutare la donna e la famiglia che oggigiorno sono sempre più sole e spaesate, soprattutto in occasione dell’arrivo di un figlio, è fondamentale per lo sviluppo sano di una società, della nostra società.

Per questo motivo il Cav sostiene sia le donne che sono incerte se proseguire o meno la loro gravidanza, ma anche quelle donne e quelle famiglie che, avendo già scelto di salvaguardare e proteggere la vita nascente, si trovano in difficoltà socio-economiche tali da non essere in grado di mantenere uno o più figli. Ogni attività promossa dal Cav, comunque, non mira a sostituirsi al ruolo dei genitori e della madre, bensì ad affiancarli rendendoli a poco a poco autosufficienti in ogni piccolo aspetto della loro vita quotidiana; durante il colloquio con la madre, pertanto, l’Assistente Sociale cerca di porsi a fianco della donna, di individuare quali siano i suoi problemi, i suoi bisogni reali e più urgenti, eventualmente indirizzandola ad altri servizi più adatti alle sue esigenze, viene cioè stabilito un progetto di aiuto, che viene concordato direttamente con la persona.

Tutto ciò che riguarda poi gli aiuti materiali viene gestito e organizzato dai numerosi volontari che si occupano di:

  • accogliere la persona che si presenta al Cav, e quindi coordinare il lavoro di segreteria,
  • preparare i corredini per le partorienti e/o per i bimbi già nati;
  • sistemare carrozzine, passeggini e tutto il materiale che ci viene regalato, assegnandolo alle mamme che ne hanno bisogno;
  • sistemare e ripristinare i giochi che riceviamo;
  • riordinare tutti gli accessori (biberon., ciucci, ecc) che ci vengono portati per poi consegnarli alle famiglie che ne fanno richiesta.

Da circa 4 anni è attivo uno sportello Cav presso il consultorio familiare Kolbe, dove sono presenti, oltre agli operatori Cav, anche un ginecologo, psicologi, un’ostetrica, una pedagogista che integrano con il Cav il sostegno alla maternità.

Inoltre, sono stati formati gruppi per mamme in gravidanza dove possano condividere gioie e ansie di questo momento unico e irripetibile che stanno vivendo, gruppi per mamme e bimbi fino ai tre anni e da poco anche un gruppo per il massaggio infantile: sono gruppi di incontro, di scambio, di informazione, ma soprattutto di condivisione fra le mamme stesse.

Un altro sportello Cav è attivo presso la Parrocchia di Trezzano sul Naviglio, e da qualche mese, anche presso il consultorio Camen.

Inoltre il Cav ha delle case di accoglienza e dei progetti di ospitalità per intervenire nelle situazioni più gravi: quando per la donna non è più possibile rimanere a casa o perché, su richiesta del Tribunale per i Minori, è necessaria una osservazione più approfondita della relazione mamma-bimbo.

L’idea che noi operatori vogliamo diffondere del Cav è di un luogo in cui poter favorire, accompagnare, proteggere la relazione mamma-bimbo sin dal suo concepimento, con attenzione alla sua crescita e alla sua salute e non soltanto di un canale tramite il quale ricevere un puro aiuto materiale (latte e pannolini): è quindi per questo che il Cav ha scelto di operare sul territorio non solo tramite il gruppo di volontari che fonda il suo lavoro sulla generosità e la buona volontà, ma anche grazie a operatori specializzati che facciano del sostegno alla vita il loro lavoro principale.

Perché fare accoglienza significa certo accogliere fisicamente, ma poi significa anche fare l’impossibile, nel poco tempo a disposizione, affinchè le persone che vengono accolte diventino un po’ più autonome: questo comporta un ulteriore sforzo che porti al loro reinserimento nel contesto sociale, ma ancor prima è necessario avere motivazioni profonde e radicate e una grande capacità di ascolto delle difficoltà e bisogni altrui.

Un altro passo è quindi necessario per promuovere l’autonomia e la crescita come persona della donna che si rivolge a noi in difficoltà: riconoscere l’altro come distinto da me e soprattutto riconoscerlo nella sua autonomia di persona; l’altro non è parte di me, ma appunto è altro da me! Solo nel riconoscimento dell’altro e nell’accettazione della sua differenza come ricchezza nasce il desiderio di una relazione come luogo in cui ci si incontra con il mistero dell’altro: è stata proprio l’esperienza vissuta, e poi elaborata, al Cav ad avermi fatto cogliere le verità che sono negli altri, rafforzando sì i miei valori di riferimento, ma anche verificandoli nel continuo scambio interpersonale, arrivando a considerare ogni essere umano un dono e una ricchezza, mai una proprietà.

Incontrare l’altro che è diverso da me ci permette di conoscere tratti di una umanità sconosciuta. Dobbiamo allora chiederci se il valore di una persona è legato a ciò che ha, a ciò che sa, a ciò che fa, a ciò che può oppure se dipende semplicemente da ciò che è e dalla sua storia personale, unica, originale e irripetibile. Un esempio tangibile di ciò sono le donne che si rivolgono ai Cav che chiedono di essere trattate per ciò che sono e non per ciò che faranno o hanno fatto, se abortiranno o lo hanno già fatto.

Tante donne che si rivolgono al Cav chiedono di essere liberate dal peso di dover dare delle prove del fatto che sono donne, ma anche persone come tutte le altre, con la loro medesima dignità. Quello che cercano è qualcuno che le ascolti e le aiuti senza giudicarle: cercano, cioè, un po’ di accoglienza; la capacità dell’operatore sta nell’avvicinarsi tanto da capire chi si ha di fronte entrando in empatia, ma poi uscirne, per vedere da fuori cosa succede e poter aiutare la persona a capire la situazione che sta vivendo. Ogni operatore deve intervenire rispettando i ritmi propri della sua interlocutrice, senza portare forzature che potrebbero anche far peggiorare quei momenti di difficoltà o crisi.

Lavorare al Cav, dunque, significa:

  • avere la mente pulita, libera da pregiudizi;
  • saper ammorbidire le convinzioni personali, aprendosi, ove possibile, al confronto;
  • ascoltare con il cuore libero: è importante cercare di capire chi si ha davanti, qualsiasi sia la sua razza, religione, cultura…

Questo perché?
Perché le donne che si rivolgono a noi vogliono essere convinte che la parte di loro che vuole il bambino è importante e vogliono qualcuno che lo dica loro. Noi operatori lavoriamo per valorizzare quella parte e a quel punto, di solito, sono capaci di proseguire la loro vita da sole.
Bisogna far emergere il loro desiderio: nonostante tutto (difficoltà, impedimenti, abbandoni) la donna/madre vuole una vita sua; e la gravidanza ne è un segno tangibile!

Molte donne, nei colloqui, si giustificano dicendo che il loro bambino è sbagliato, perché è “arrivato” in un momento inopportuno, perché il padre non è la persona giusta, ecc… in realtà hanno solo bisogno di qualcuno che ricordi loro che è il bambino stesso a poter portare un po’ di luce, riscattando la loro vita, risvegliando in loro il ruolo di madre e genitore.

Per assurdo, quando parliamo alle donne che si rivolgono al Cav del servizio “Madre Segreta”, una linea verde, istituita dalla Provincia di Milano, che informa le future mamme sulle leggi che regolano il riconoscimento del neonato, che sostengono la maternità, dando la possibilità di partorire il bambino e non riconoscerlo, ci dicono che è meglio abortire!

La legge, infatti, prevede la possibilità di non riconoscere il neonato alla nascita e tutela il diritto della donna di essere informata e restare anonima, e a quel bambino di crescere in una famiglia di genitori adottivi, individuati dal Tribunale per i Minori, nel più breve tempo possibile.

Certamente per la madre si tratta di una rinuncia sempre difficile e dolorosa, però questa possibilità tutela il bambino, e tutela anche la madre, considerando che l’aborto è una ferita che una donna si porterà dentro per tutta la vita. Grazie a Madre Segreta vengono accompagnate nel difficile percorso dalla gravidanza fino al parto da operatori specializzati e spesso vengono inserite in strutture protette per permettere loro di portare avanti con maggiore sostegno questa scelta. Si tratta di un gesto d’amore: di fare al proprio bambino il dono di poter venire al mondo e di donare un figlio ad una famiglia che tanto lo desidera, ma che purtroppo non ha potuto averne.

Riflessione sul rapporto madre-figlia.
Il contesto culturale attuale, riconosce teoricamente l’alto valore educativo della madre, come principale responsabile dell’educazione dei figli, ma questo non si accompagna ad una educazione alla maternità. Infatti, secondo il pensare comune, la maternità non si impara, ma è un “istinto femminile”: al contrario, si tratta di un percorso formativo che inizia molto prima di quando le donne diventano biologicamente madri.

Ha inizio con la relazione primaria che esse instaurano con la loro madre, perché in essa acquisiscono il senso di sé come esseri che hanno valore, iniziano a conoscere il loro ambito di vita, imparano lo stile relazionale che impronterà tutti gli altri rapporti interumani, soprattutto la relazione che la figlia, diventata a sua volta madre, instaurerà con la “sua” neonata.

Madre ed embrione sono un sistema: in apparenza sono una cosa sola, in realtà sono due persone che si influenzano reciprocamente e cambiano in ogni momento. Il o la nascitura inizialmente dipende totalmente dalla madre per venire al mondo e per dare senso al proprio esistere; la figlia dipende dalla madre in modo ancora più significativo, perché farà principalmente riferimento a lei per la costruzione della propria identità femminile: è la madre il primo modello femminile che viene appreso. E’ perciò necessario che le donne scoprano di essere sempre madri per il fatto stesso di essere donne.

Mettono al mondo dei figli, generano amore, desiderio, linguaggio, arte, società…; qualsiasi donna che ritenga che l’istituto della maternità non la riguardi, chiude gli occhi di fronte agli aspetti cruciali della sua situazione.

E’ sempre più necessario, quindi, trasformare da “costrizione” a scelta, sia la decisione di diventare madre, sia quella di interpretare il mestiere di educatrice/insegnante, cosicché le donne agiscano senza negare sé stesse, andando al di là di schemi e stereotipi già fissati. Esprimere e valorizzare quindi la propria diversità non rispetto all’uomo (che sarebbe parziale), ma come valore in sé!

L’istinto da solo non raggiunge il fine educativo, ma si deve sempre procedere per un percorso formativo e culturale, che permetta di educare la persona e la madre. Occorre quindi educarci ed educare alla e nella differenza di genere, coscienti della parità valoriale fra donne e uomini e della ricchezza insita nella dimensione della reciprocità.